Oggi presso la sede di Assolombarda a Milano, durante il primo incontro di trattativa fra la direzione della Danone di Casale Cremasco e le organizzazioni sindacali la richiesta dei rappresentanti dei lavoratori è stata semplice e chiara: occorre trovare alternative alla chiusura della fabbrica. La direzione locale però non può dare risposte autonomamente e si è impegnata a trasmettere la richiesta alla direzione europea, ribadendo intanto i motivi della chiusura: la crisi economica italiana in generale. Dunque non è affatto decisivo che il latte cremasco abbia una miglior qualità del latte in polvere belga, dato che proprio in Belgio la Danone vuole trasferire gli impianti di produzione e confezionamento dello yogurt. La proprietà dei muri è della Galbani, alla quale la Danone paga l’affitto. La questione si complica perché la multinazionale francese considera la scarsa capacità di spesa degli italiani e teme che la fabbrica di Casale Cremasco vada in rosso e non si riprenda più. E’ solo una previsione negativa, da parte dei dirigenti europei, eppure costerebbe il posto a 87 dipendenti dello stabilimento di Casale e a 13 impiegati degli uffici amministrativi di Milano, aggravando ulteriormente la crisi economica e occupazionale fra Brescia e Milano, comprendendo Cremona.
Altro dato stonato con l’annuncio di chiusura, è che la fabbrica cremasca non è tra le peggiori eppure è stata annunciata la sua chiusura nel 2015. Il bilancio reale parla di un calo di fatturato e di utili, non di un passivo. Allora perché chiudere? I sindacati insistono sulla continuità della produzione o almeno su una reindustrializzazione. Per questo però bisogna che gli impianti sia di produzione che di confezionamento restino, o comunque che una nuova proprietà si faccia carico delle spese necessarie per un investimento nel settore lattiero-caseario che vede la provincia di Cremona all’avanguardia per quel che riguarda sia la produzione che la qualità che gli stessi controlli, considerato l’impegno delle Asl nel settore veterinario. Sono i pregi del territorio, incredibilmente, a non convincere la proprietà francese, che tiene lo sguardo rivolto a parametri continentali, anzi globali. I sindacati non fanno proprio questo modo di misurare il valore del lavoro e della produzione, considerando il profitto come unico dato di riferimento, e quindi annunciano di voler tentare ogni via possibile per salvare stabilimento e lavoro. Martedì primo luglio è in programma un’assemblea dei lavoratori, che diranno la loro sulle prime risposte della direzione locale. Il 7 luglio invece si ritroveranno di fronte in Assolombarda sindacati e direzione di Casale.