Imane Fadil, ancora un mistero la causa della sua morte

Starebbero approfondendo l’ipotesi di una ‘intossicazione da metalli’ i consulenti della Procura di Milano chiamati a risolvere il mistero, che ancora a distanza di oltre tre mesi resta tale, della morte di Imane Fadil, la 34enne marocchina tra le testi ‘chiave’ del caso Ruby, deceduta l’1 marzo dopo un mese di ricovero all’Humanitas di Rozzano, nel Milanese, un’ipotesi non necessariamente legata ad un avvelenamento doloso e di cui, comunque, andrebbero accertate le cause. Già a metà marzo, tra l’altro, si era saputo che alcuni metalli, tra cui il cadmio e l’antimonio, erano stati rintracciati in percentuali di parecchio al di sopra della norma nelle urine e nel sangue della giovane. A fine marzo era iniziata l’autopsia all’Istituto di medicina legale di Milano e gli inquirenti avevano dato 30 giorni di tempo agli esperti per il deposito della relazione e poi hanno concesso una proroga data la complessità delle analisi. Gli accertamenti sul cadavere della giovane (non c’è ancora stato il nulla osta dei pm alla restituzione della salma alla famiglia per i funerali) erano iniziati solo dopo che esami più approfonditi avevano escluso la presenza di radioattività negli organi della modella, radiazioni che erano state, invece, rilevate in analisi sulle urine e sul sangue. Il quesito, a cui gli esperti sono stati chiamati a rispondere, prende in considerazione ogni aspetto: si va dall’avvelenamento per intossicazione da metalli fino alla morte naturale per malattia (in questo caso l’ipotesi sarebbe una forma rarissima di aplasia midollare). I consulenti, sono anche chiamati ad accertare proprio il motivo per cui dal risultato di un test comunicato alla Procura il 12 marzo erano emerse “tracce di raggi alfa”, ossia radiazioni.