Cremona Dopo un anno dall’ultima riunione tra i sindaci del circondario cremonese e il presidente della Provincia allora in carica, Davide Viola, la discarica di Malagnino, ora di proprietà di Lgh-A2A, è ancora al proprio posto. Eppure il progetto per lo svuotamento, presentato dall’ex sindaco di Vescovato Maria Grazia Bonfante, era stato apprezzato dallo stesso Viola e dai funzionari. L’obiettivo era appunto liberarsi della discarica chiusa nel 2015, altrimenti destinata a rimanere parzialmente a carico dell’amministrazione provinciale per trent’anni, fino al 2045, oltre al costo stimato dal proprietario, allora Aem Cremona, di ben 10 milioni di euro. Per ogni discarica l’ente Provincia infatti indìce un appalto e spende 100mila euro ogni due anni per pagarne la gestione post-chiusura, a Malagnino come a Corte Madama e all’interno del porto sul fiume Po. Com’è stato osservato dall’ex sindaco, un impianto per il riciclo sarebbe costato meno della manutenzione di Malagnino, che continua a occupare 84mila metri quadrati con un milione e 100mila metri cubi di rifiuti urbani. Ed è plastica per il 70%. La montagnola arriva a 20 metri d’altezza e rappresenta tutt’ora un problema, per la vicinanza alla falda acquifera, che si trova a un metro e 30 centimetri. E’ questo il motivo principale per cui l’impianto, per disposizione del Consiglio di Stato, non è mai stato raddoppiato. L’ente Provincia, però, tenendo conto del punto di vista di Lgh-A2A, non ha mai espresso un’autonoma volontà politica di porre fine per sempre all’era della post-gestione delle discariche, che peraltro generano biogas e quindi fanno incassare alle multiutility proprietarie anche dei contributi pubblici. La voce dei comitati e delle associazioni, che hanno protestato anche per le discariche private di Sergnano e Rivolta d’Adda, e per le conseguenze negative sull’ambiente, non è stata sinora ascoltata.
