Entro il 2030 il 27% dell’energia da fonti rinnovabili nell’Unione Europea

I capi di Stato e di governo dell’Unione europea hanno raggiunto un accordo unanime sugli obiettivi del nuovo pacchetto clima-energia per il 2030, da presentare alla conferenza Onu sul clima di Parigi del dicembre 2015. L’accordo conferma  la riduzione obbligatoria delle emissioni del 40% rispetto al 1990 in tutta l’Ue e l’aumento al 27% della quota di energia da fonti rinnovabili nel consumo totale dell’Unione (in questo caso senza sotto-obiettivi nazionali).
Un magro risultato che stride con le conclusioni di innumerevoli studi, simulazioni e ricerche che dimostravano come l’aumento dell’efficienza energetica sia in realtà il modo di ridurre le emissioni più efficiente, aumentando la competitività del sistema, con risparmi di notevole entità nel medio termine.
Ultimo punto importante  approvato è l’impegno a portare al 15% entro il 2030 il coefficiente di interconnettività per l’energia elettrica (oggi in quei Paesi è al 2%), ovvero la quota scambiata fra i mercati diversi elettrici nazionali attraverso le interconnessioni alle frontiere, che in alcuni casi, come nella Penisola iberica e nei Paesi baltici, mancano quasi del tutto. Al termine della prima giornata del vertice Ue,  il presidente uscente della Commissione europea, José Manuel Barroso, si è mostrato molto soddisfatto soprattutto per la decisione di tagliare del 40% le emissioni. Il presidente della Commissione ha inoltre spiegato che il raddoppio dello sforzo di riduzione dal 2020 al 2030 sarà molto più impegnativo rispetto al conseguimento del primo taglio del 20% entro il 2020 (sempre rispetto al 1990), in corso di attuazione. Per due ragioni: la prima è che gran parte della riduzione conseguita finora è venuta dalla deinduistrializzazione verificatasi nei Paesi dell’Est dopo la caduta del comunismo; la seconda è che dopo il 2020 non ci saranno più i cosidetti “meccanismi flessibili” del Protocollo di Kyoto, che permettevano alle industrie di “riscattare” le proprie emissioni in Europa con l’accredito di quote di CO2 dai Paesi dell’ex Unione sovietica o in quelli in via di sviluppo.