LE RETI DA PESCA FANTASMA, KILLER DEI NOSTRI MARI

Sotto il livello del mare, ogni giorno, avviene un delitto. Squalo bianco? No, le reti da pesca fantasma. Trascinate dalle correnti, si muovono per km uccidendo ogni forma di vita marina. Ghost Fishing e altri progetti d’avanguardia recuperano e riciclano gli attrezzi da pesca dispersi.

Le reti da pesca fantasma e le gabbie abbandonate per la cattura di granchi, aragoste e gamberetti si definiscono anche attrezzi da pesca abbandonati, persi o scartati (ossia abandoned, lost or discarded fishing gear o ALDFG). Funzionano in diversi modi: le reti da pesca fantasma vagano per i mari catturando pesce e altri organismi marini senza alcun beneficio per l’uomo, oltre a soffocare la barriera corallina. Una rete fantasma cattura circa il 5% della quantità di pesce commerciabile mondiale. Le gabbie abbandonate diventano trappole mortali per centinaia di granchi e altri esseri marini. Una sola gabbia può uccidere oltre 1775 esemplari in un anno per un valore fino a 18.000€, secondo California SeaDoc.

Il problema è noto ai sub che frequentano i fondali marini e ben visibile soprattutto nelle aree di pesca.

 

La soluzione (temporanea) è che volontari e ONG continuino i progetti di pulizia dei fondali. E l’investimento in sviluppo e tecnologie è la strada per trasformare il problema in una risorsa. Negli Stati Uniti il programma Fishing for Energy converte la spazzatura marina in energia. Da dicembre 2013 la partnership Fishing for Energy ha pulito 41 porti in 9 stati americani raccogliendo quasi 1000 tonnellate di rifiuti. Il materiale raccolto viene prima portato nelle fabbriche Schnitzer Steel per recuperare i metalli e il restante materiale non riciclabile viene convertito in energia nelle centrali Covanta Energy.

Il NOAA (Dipartimento Nazionale per la gestione degli oceani e dell’ambiente degli Stati Uniti) stima che una tonnellata di reti fantasma può produrre energia ad un’abitazione per 25 giorni. Un altro interessante progetto americano è Healthy Seas, che converte i rifiuti marini in oggetti di consumo come abbigliamento sportivo, calzini e tappeti.