Uno studio scientifico dell’Imperial College di Londra, ha pubblicato sulla rivista scientifica Lancet, il risultato emerso dopo aver confrontato 230 pazienti con le arterie coronarie ostruite.
Per oltre il 70% ha messo a confronto per la prima volta gli effetti dell’intervento coronarico percutaneo, finora considerato il golden standard, un’operazione che serve per sbloccare le arterie coronarie; vasi sanguigni del cuore che si sono ristrette, attraverso l’inserimento di uno stent con un finto intervento. Quello cioè che in termini medico-scientifici si definisce un “placebo”.
Con l’efficacia dei due modi di approcciare il problema hanno avuto in sostanza la stessa efficacia, misurata in termini di resistenza al test da sforzo sul tapis-roulant.
« Il professor Antonio Bartorelli , coordinatore dell’Area di Cardiologia Interventistica del Centro Cardiologico Monzino di Milano è al Congresso mondiale di Cardiologia Interventistica a Denver (Colorado), dove lo studio è stato presentato. «I colleghi presenti hanno preso con molto scetticismo questo studio e per diversi motivi: innanzitutto è stato fatto soltanto su 200 pazienti».
Un numero troppo basso per potere essere significativo e rendere lo studio applicabile alla clinica.
«Il controllo dell’esito dopo sei settimane è abbastanza breve. Il tempo di esercizio del paziente e i sintomi anginosi del paziente: anche se non c’era una differenza statisticamente significativa tar i due gruppi, però c’er a un trend favorevole a quelli sottoposti ad angioplastica. Quindi non possiamo sapere su un campione più grande avrebbe dato un significativo risultato nel gruppo trattato con angioplastica. In più , molto importante, alla fine delle cure sono andate a misurare il miglioramento di flusso nella coronaria. In quelli che avevano subito l’angioplastica migliorava in maniera molto importante . Altri studi hanno dimostrato che il miglioramento del flusso si associa al miglioramento dell’outcome a distanza . Quindi prima di dire – come ha fatto nell’editoriale allegato a Lancet che anche l’ultimo chiodo sulla abra dell’angioplastica è stato messo bisogna andarci con molta calma» ha spiegato Bartorelli.
Lo stent è un tubicino a rete metallica che può essere introdotto negli organi cavi, come i vasi sanguigni o l’intestino per sostenerne le pareti interne. Il suo utilizzo è particolarmente comune in ambito vascolare, con inserimento di stent nelle arterie che presentano ristringimenti o caratterizzate da debolezza.
È il caso dell’intervento di angioplastica coronarica, in cui il posizionamento dello stent consente di mantenere il vaso “aperto” garantendo così il flusso del sangue. Gli stent di ultima generazione non sono in metallo ma in speciali materiali riassorbibili, pertanto con il passare del tempo lo stent viene assorbito dal tessuto organico con cui è in contatto, riducendo i rischi connessi alla presenza di un corpo estraneo nell’organismo.
Come funziona lo stent? In caso di intervento su arterie ostruite, lo stent viene posizionato nel corso di una procedura chirurgica in anestesia locale (in alcuni casi si rende necessaria l’anestesia generale). Di solito lo si fa per via endoscopica, introducendo dall’inguine (arteria femorale) un catetere che termina con un palloncino sgonfio, intorno al quale è collocato lo stent. A questo punto viene gonfiato il palloncino che spinge la placca responsabile dell’ostruzione contro le pareti e allarga lo stent fino alla sua posizione finale, l’arteria ritrova così maggior spazio e il flusso di sangue viene ripristinato. Il palloncino viene poi sgonfiato e rimosso con il catetere, mentre lo stent resta posizionato nell’arteria.
Nel compiere questa operazione il chirurgo si avvale dei raggi X. I dispositivi sono salvavita quando utilizzati per aprire le arterie nei pazienti affetti da un attacco di cuore. Ma sono spesso utilizzati nei pazienti che hanno un’arteria bloccata e dolore toracico che si verifica, esempio tipico, quando si salgono le scale.
Né i pazienti, né i ricercatori che li hanno valutati in seguito sapevano chi aveva ricevuto uno stent: si tratta di un particolare studio cosidetto “in doppio cieco”. Seguendo la procedura, entrambi i gruppi di pazienti hanno poi preso farmaci anticoagulanti per prevenire che nel sangue si formassero trombi. Gli stent hanno fatto quello che dovevano fare nei pazienti che li hanno ricevuti. Il flusso sanguigno attraverso l’arteria precedentemente bloccata è stato notevolmente migliorato. Quando i ricercatori hanno sottoposto a test i pazienti sei settimane più tardi, entrambi i gruppi hanno dichiarato di sentire meno dolore al petto e hanno fatto meglio di prima sulle prove da sforzo sul tapis roulant.
E i ricercatori hanno trovato che tra i due gruppi di pazienti non c’era alcuna differenza reale. Coloro che sono stati sottoposti alla “finta” procedura hanno avuto gli stesi risultati di quelli ai quali invece è stato inserito lo stent.