Il marchio dell’orrore corre diagonalmente sul fianco. Una cicatrice di una ventina di centimetri che incide il ricordo di una mutilazione imposta dalla miseria. Lo chiameremo “Chhay”, per mantenere l’anonimato della prima vittima conosciuta del traffico illegale di organi in Cambogia. Chhay abita a Phnom Penh in una sola stanza insieme a nove familiari. Il 18enne khmer sta cercando di rimettersi in piedi. Due anni fa venne contattato da una donna che lo convinse a vendere un rene per 3.000 dollari.”Venne da me perché sapeva che siamo poveri e che mia madre è piena di debiti. Mi persuase parlando continuamente di soldi. E avevamo un bisogno disperato di soldi”.La donna è stata arrestata ma Chhay continua a soffrire per i postumi della mutilazione. Si sono fatte vive altre due vittime che hanno venduto i reni, denunciando che la broker si è messa in tasca tre volte l’importo versato a loro. Ora le Nazioni Unite temono che si tratti della punta dell’iceberg cambogiano.”È un crimine che prende di mira i più poveri, spiega Jeremy Douglas, dirigente dell’Onu a Bangkok. Non ci sono persone facoltose costrette a vendere gli organi oppure drogate per asportarglieli a loro insaputa. È la gente fuori dai radar della società che viene presa di mira per il traffico d’organi”.Chhay venne portato in Thailandia per essere operato, anche se i donatori dovrebbero essere solo parenti o coniugi dei riceventi. L’ospedale non ha condotto i controlli necessari. Oppure è stato complice diretto del crimine.La polizia cambogiana dichiara di non conoscere l’estensione del problema: “Senza denunce non possiamo intervenire. Ma crediamo che il traffico di reni sia assai diffuso a Phnom Penh e nelle province di confine”.