Per la salvezza della foresta equatoriale, l’accordo tra privati sottoscritto nel 2006, noto come “Soy Moratorium”, funziona e funziona più e meglio delle leggi dello Stato brasiliano. Grazie, infatti, all’intesa che ha impegnato i colossi Cargill, Walmart e McDonald’s a non comprare soia da chi coltivava su terreni vergini, la deforestazione dell’Amazzonia si è fermata.?E’ quanto si evince scorrendo, nella rivista Science, uno studio – curato da Holly Gibbs, della Wisconsin-Madison University – che offre dati e cifre, tutti inequivocabili: “Tra il 2001 e il 2006, cioè prima della moratoria, i campi di soia in Amazzonia, strappati alla foresta, crescevano al ritmo di un milione di ettari all’anno. Nel 2014, dopo otto anni di moratoria, anche se i campi di soia si sono espansi per un milione e trecentomila ettari, la foresta vergine non è stata toccata e i coltivatori hanno piantato la soia in zone già ripulite”.?Le leggi brasiliane, insomma, pur essendo piuttosto severe, non bastano ad arginare il fenomeno della deforestazione, serve la buona volontà dei grandi gruppi. La legge brasiliana, infatti, prevede, che i proprietari possano disboscare solo il 20 per cento della loro proprietà, ma solo il 2 per cento ha rispettato tali percentuali. Altro esempio: il Brasile obbliga, per salvare l’Amazzonia, i proprietari a censire e mappare i loro terreni. Benissimo; peccato che – come spiega la Gibbs – un quarto della deforestazione illegale sia avvenuta proprio dove i terreni erano tutti registrati.?Insomma, sarebbe opportuno applicare la moratoria anche ad altre zone del Paese sud americano, come ad esempio il Cerrado, la savana tropicale che si estende a sud dell’Amazzonia. E i coltivatori di soia? Buone notizie anche per loro. La Gibbs sostiene che si potrebbe estendere l’area di coltivazione del 600 per cento, senza toccare la magnifica foresta pluviale amazzonica.
Scrivi