L’ecologia applicata come risposta alle minacce di evacuazione forzata. A Giakarta, capitale dell’Indonesia sull’isola di Giava nei pressi della foce del fiume Ciliwung, gli abitanti di un quartiere diseredato sono diventati ambientalisti senza se e senza ma per evitare il destino subito dai vicini di altre bidonville della metropoli asiatica: lo sgombero forzato dalle loro abitazioni di fortuna, in nome della lotta contro le ricorrenti inondazioni. Una piaga che, a causa delle piogge stagionali, ogni anno provoca decine di morti nelle vulnerabili bidonville, forzatamente erette a ridosso delle acque del fiume.
Dal 2015, sostenuti finanziariamente da alcune ong locali, uomini e donne dei “kampung”, i quartieri tradizionali indonesiani, hanno gradualmente trasformato uno scenario abitativo che oggi contrasta nettamente con gli edifici fatiscenti e le strade disseminati di rifiuti di altre zone povere di una città che conta 10 milioni di anime.
“Abbiamo ridotto della metà le nostre case, piantonato il territorio e ripulito i canali”, racconta un’abitante della bidonville di Tongkol. “Non buttiamo più i rifiuti nel fiume e ci siamo organizzati per produrre una nostra composta fertilizzante”.
L’impegno è tanto meritevole quanto a rischio di fallimento. “Si tratta di rinnovare o di essere sgomberati” spiega crudamente Gugun Muhammad, dirigente della ong Urban Poor Consortium. “La gente è convinta di potere vivere sulle sponde del fiume se realizzano importanti rinnovamenti”.
Ma il governo indonesiano non sembra essere d’accordo. “In queste zone” sottolinea Christian Anthony, portavoce del governo, “la priorità è riorganizzare strutturalmente le sponde, sgomberando le bidonville”. Nell’attesa, gli abitanti del kampung di Tongkol non intendo interrompere i lavori, vivendo alla giornata e cercando di dimenticare la drammatica spada di Damocle che pende sul loro capo.